Premužić Trail

LENTO E’ BELLO

Il bikepacking altro non è che la versione fuoristrada del cicloturismo ed è uno dei modi più lenti per viaggiare, camminata a piedi a parte, anche se spesso le due cose coincidono ma su questo ci torneremo dopo. La traversata del Velebit, la catena montuosa lunga 145 km più famosa della Croazia con le sue cime di 1700 m con spettacolare vista sulle isole del Quarnaro e una infinita rete di sentieri, è sempre stato un mio pallino e quest’anno con Stefano abbiamo progettato in tutti i dettagli il bike trip. Il più famoso di questi sentieri in quota è il Premužić Trail, in croato Premužićeva Staza, 57 chilometri di mulattiera rocciosa strappata alle rocce carsiche del Velebit settentrionale, “una vera opera d’arte della muratura a secco” come viene definita dalla guida “Escursionismo in Croazia” di Alan Čaplar, la bibbia per chi vuole avventurarsi da quelle parti. E’ stato progettato dall’ingegnere omonimo e costruito in tre anni dal 1930,  si sviluppa longitudinalmente da nord a sud tra i 950 e i 1500 metri di quota, ma, ed è un grosso MA, è vietato alle mtb, almeno così sembra dalle poche notizie che arrivano dal web. Sappiamo benissimo tutti che a volte è sacrosanto bloccare le orde di rider più o meno free sui sentieri con facile accesso in auto, ma noi contiamo sull’approccio soft da bikepacker appunto, io poi con la fat carica come non mai, per cui ad un eventuale incontro con i guardaparco contiamo di cavarcela con le nostre innate buone maniere, o alla peggio la faccia da fesso, l’importante è non lasciare sgarfate, non sporcare l’ambiente e dare precedenza ai pedoni, tutte cose che facciamo normalmente. Decisi a traversare il Velebit dal rifugio Zavizan alle gole di Paklenica mancava da decidere come ritornare a riprendere le auto e allora perché non continuare in modalità cicloturistica sulle strade asfaltate ancora non trafficate in maggio all’isola di Pag, risalirla e andare a prendere il traghetto per la terraferma chiudendo così il giro.

Selfie a Sveti Jurai (foto di Stefano Lavia)

VIETATO VIETARE

Lasciata un’auto strategicamente sulla costa al delizioso paese di Sveti Jurai, una kona, la posta, la capitaneria di porto e quattro case in tutto, sabato all’una e mezza siamo con la seconda auto al parcheggio dello Zavizan a 1500 metri, il borino che ci accoglie appena usciti dall’auto ci fa capire subito che l’estate è ancora là da venire, mettiamo il pile leggero e si parte. La stradella iniziale è quasi pianeggiante, i turisti vanno tutti al rifugio 50 metri sulla cimetta sopra di noi, giriamo un costone e troviamo la neve, ok niente crema solare e maglietta con le maniche corte oggi. All’inizio del sentiero la tabella riporta tutta la serie dei divieti classici presenti in tutti i parchi del mondo, toh, c’è anche la mtb, vabbe’ andiamo a mano i primi metri… ma solo i primi metri perché poi non si può non salire in sella e pedalare sul fantastico trail in piano nel bosco con il fondo compattissimo di terra rossa.

Sul biglietto d’ingresso al parco non c’è nessun divieto alle bici
il promettente inizio del Premužić Trail

BASIC BIKE

Stefano è preoccupato, io dopo anni di Travenanzes e Krn vietati sento meno la pressione, e diciamolo, fa più danni un grassone di 100 chili con le suole in vibram, senza offesa per i grassoni beninteso, anch’io ho la fat! L’ambiente diventa ben presto quello carsico tipo Canin per intenderci, solo che qui tranne qualche breve tratto a piedi si può quasi sempre pedalare e lo spettacolo attorno è semplicemente grandioso, se ami i terreni carsici devi venirci almeno una volta nella vita. Gli escursionisti che incontriamo e salutiamo col nostro stentato “Doberdan” sono tutti sorridenti, anzi curiosi di queste strane gomme che monto, nessuno ci rimprovera o ci grida contro come capita a volte in Friuli e Slovenia.

E il primo bivacco è occupato, contenti? (foto di Stefano Lavia)

Al bel bivacco Rossijevo dove contavamo di dormire dopo la prima mini tappa ci sono altri 6-7 ragazzotti arrivati con zaini mastodontici, sono le 4, il bivacco ha solo 6 posti e dopo un rapido calcolo decidiamo di continuare per il rifugio Alan, in fondo sono solo altre 4 ore, alle 8 si cena! Questo sarò il leitmotiv del giro, come dei tanti giri fatti assieme a Stefano, finché c’è sole si va avanti a testa bassa, io che lo conosco mi sono premunito, il frame bag sulla mia bici è pieno di barrette e due sacche d’acqua per le merende al volo, stavolta il pericolo numero 1, la crisi di fame, non mi frega. Il bello di questi sentieri che hanno tante salite corte seguite da discese altrettanto corte ma che danno sollievo alla gamba e al morale, insomma, ci si diverte parecchio. In maggio nei versanti settentrionali ci sono ancora tratti innevati, si scende e si va ad andatura pedestre ma incontriamo un francese che ci informa che al rifugio manca un’ora, e sono le 5 e mezza, cavolo, stiamo andando piuttosto bene, così bene che nel tratto seguente su un collinone in terreno aperto decido di lasciar andare Stefano avanti e preparo il Mavic Air per il primo voletto. Tra una cosa e l’altra vanno via venti minuti, raggiungo Stefano che si era fermato ad aspettarmi visibilmente insofferente e sul momento ancora non lo capisco, ma già dal giorno seguente diventerà una regola tacitamente accettata: per compiere la traversata in tempi decenti non c’è tempo per queste divagazioni, sarà il primo ed ultimo volo del mio piccoletto sui cieli della Croazia, d’ora in avanti seguiremo tutti e due spontaneamente la semplice regola del pedala, cammina, fotografa, mangia, bevi, dormi, la giornata ridotta alle cose essenziali, basiche, anche questa è una lezione da imparare sul campo.

A metà della prima tappa su terreno aperto (foto di Stefano Lavia)

 

LO STARGATE DELL’ALAN

Alle sei e mezza arriviamo all’Alan più di un’ora in anticipo sulla tabella di marcia complice un magnifico single track scorrevole come pochi, e guarda caso gli ultimi metri sono su strada asfaltata così abbiamo pronta la nostra versione se ci chiedono da dove siamo venuti. Il rifugetto in legno è veramente carino, il gestore ci saluta appena messa giù la bici, siamo gli unici su ruote di tutto il numeroso gruppo di clienti, entriamo nella prima stanza a destra e ci troviamo direttamente nella cucina dove qualcuno armeggia con le pentole sulla stufa a legna e altri siedono all’unico tavolo mangiando una minestra e bevendo una Karlovacko, l’atmosfera è di quelle super rilassate e sembra che ognuno possa fare quel che vuole. Chiediamo un posto per la notte e in due minuti il gestore ci porta all’unica altra stanza del piano terra, una specie di sala da pranzo sui generis e ci dice che possiamo tranquillamente tenerla tutta per noi e dormire sui materassi appoggiati alla parete in fondo, per la cena possiamo sederci di là che subito è pronta la minestra di verdure con salsiccia. Naturalmente ci chiede da dove siamo partiti e per dove siamo diretti e ai nostri racconti di giri sulle strade asfaltate secondarie del Velebit si presta volentieri al gioco di far finta di crederci e questo ce lo rende subito amico. Quello che succede nelle ore successive ha del surreale, Stefano ed io ce ne stiamo a sorseggiare la pelinkovac in piedi alla finestra della cucina mentre intorno tutti entrano ed escono con una certa lentezza dalla stanza senza un motivo apparente, vanno agli zaini ordinatamente appoggiati al muretto e preparati per la partenza vicino al pullman parcheggiato a un metro dal rifugio col motore acceso e invece niente, dopo un’ora l’autista spegne il motore e tutto il gruppo sale con calma al primo piano nella camerata in comune zaini in spalla. La mattina dopo, mentre noi due ci abbuffiamo di caffè nero e mega piatto di uova strapazzate, 4 a testa, tutto il gruppo della sera prima è, come dire, “affaccendato” nei preparativi della vera partenza, quella del giorno prima era evidentemente solo una prova generale e in quell’istante ne comprendiamo il significato, il rifugio dev’essere una specie di stargate per entrare in un’altra dimensione temporale dove la frenesia, il bisogno di fare le cose in fretta il più possibile, il correre per arrivare primi non esistono più, il ritmo lento e rilassato è la regola, non dovrebbe essere sempre così?

Lo scontrino del rifugio Alan

SENTIERI VISTA MARE

Partire alle 7 e mezza la mattina con un single track da sogno non capita tutti i giorni, non ci sembra vero, chi pensa più alle solite preoccupazioni quotidiane, la mente è sgombra e vola in alto più del drone, le Surly Nate da 3,8” si divorano tutti i sassi piantati di taglio nella mulattiera e passare dal boscoso versante orientale del Velebit a quello roccioso occidentale con lo spettacolare panorama sulle isole del Quarnaro ad una selletta spazzata dale raffiche di bora è come vivere un sogno ad occhi aperti, sai che stai staccando il biglietto vincente della lotteria.

Alle 7.30 già in sella (foto di Stefano Lavia)
Stefano in action
Lo zainetto da bici di Stefano
Lo spettacolare panorama su Rab
I love rocks and roll (foto di Stefano Lavia)
Il mattino ha l’oro in bocca

La seconda parte del Premužić Trail è la più lunga, varia e fisicamente impegnativa, sono 35 km e 8 ore di saliscendi con 560 metri di salite e 1000 di discesa ma in certi tratti la mulattiera si è ristretta a sentierino invaso dall’erba e con qualche albero caduto per cui l’andatura è rallentata, si vede che non è frequentata come la prima parte fino all’Alan. Ci si diverte comunque e la vista sul mare allevia la fatica e più si scende verso sud e più il clima diventa confortevole, il vento è cessato e fa caldo, quasi un cambio di stagione. A differenza del primo giorno non incontriamo nessun escursionista, solo nel tratto finale dopo il bivacco Skorpovac incrociando una strada bianca un tizio ci saluta incredulo, forse di qua non passano tanti in bici.

Sentieri vista mare
Al bivacco Skorpovac non c’è nessuno
Mulattiera assolata (foto di Stefano Lavia)
Gli ultimi km del Premužič Trail (foto di Stefano Lavia)

Dopo 57 chilometri, o 52 secondo il mio gps, il Premužić Trail finisce nei pressi di Baške Oštarije, quattro case con un ostello dove dormiamo la notte, ci perplime il parcheggio alla fine del sentiero, uno spiazzo terroso in discesa che sembra appena disboscato con una semplice scritta su un albero, completamente differente dall’ingresso settentrionale tutto perfettamente organizzato e tabellato, qua di sicuro girano meno soldi. A cena stavolta ci sfoghiamo con minestra, grigliata di carne, birre, palacinka e pelinkovac, il tutto viene assimilato in tempi record e anche questa sarà la regola dei prossimi giorni, e ci godiamo il momento, anche perché  non sappiamo ancora cosa ci aspetta l’indomani.

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